Epidemiologia dell’Osteoporosi

Scopo dell’epidemiologia è quello di descrivere la distribuzione di una malattia, sia attraverso il riconoscimento e il censimento della sua manifestazione finale, che per l’osteoporosi è la frattura, sia individuando i soggetti che abbiano caratteristiche particolari, fattori di rischio, che aumentano la probabilità di incorrere nella frattura stessa.

In epoca pre-radiologica, l’epidemiologia dell’osteoporosi si sarebbe identificata con quella delle fratture cliniche da “fragilità”, cioè spontanee o causate da traumi cosiddetti “non efficienti”, per sottolineare la sproporzione tra il danno (la frattura) e la sua causa, (ad es. la caduta dalla propria altezza).

Mediante studi condotti con radiologia tradizionale del rachide in soggetti anziani si è reso evidente che una certa quota di fratture vertebrali non viene clinicamente identificata. Spesso non vengono segnalate e/o rilevate  alterazioni iniziali, definite fratture “morfometriche”, che rappresentano comunque fattore di rischio per ulteriori fratture (1).

Esiste una relazione diretta tra fratture da fragilità e ridotta “densità minerale ossea” (BMD), misurata con densitometro a doppio fotone X (DEXA) (2). 

E’ però noto che, nonostante la forte correlazione sopradetta, vi sono altri fattori di rischio da essa indipendenti che possono indurre frattura senza che vi sia una relazione nota con la riduzione della densità minerale.

Si possono perciò definire, nell’insieme dell’epidemiologia dell’osteoporosi,  almeno quattro sottoinsiemi:

–       epidemiologia delle fratture

–       epidemiologia radiografica

–       epidemiologia densitometrica

–       epidemiologia dei fattori di rischio

Un soggetto può, ovviamente, far parte di uno o più sottoinsiemi con una quota variabile di rischio che può essere stabilita empiricamente, a posteriori, costruendo algoritmi che tengano conto del contributo dei vari sottoinsiemi.

Via via che la statistica di popolazione evidenzia nuove possibilità di inquadramento del rischio, si vengono a creare altri sottoinsiemi, caratterizzati, ad es., da particolari geometrie femorali, dal comportamento di uno o più markers di turnover, da particolari pattern genetici, dall’utilizzo di farmaci osteopenizzanti per la terapia di altre patologie (cortisonici, inibitori dell’aromatasi periferica, glitazoni etc.)

Devono perciò essere considerati, a scopo epidemiologico sia i soggetti  fratturati sia tutti quelli che possiedono nella propria storia anamnestico-clinico-laboratoristica dei “predittori di frattura”.

Bisogna anche tenere in considerazione che:

–       la distribuzione della patologia segue, nella grande maggioranza dei casi due parametri fondamentali : sesso ed età. Sesso femminile e età avanzate sono numericamente le più interessate dalle fratture osteoporotiche. 

–       il progressivo invecchiamento della popolazione, soprattutto di quella femminile, la cui vita media si è allungata negli ultimi decenni, con significativo incremento, mai visto in precedenza nella storia, della quota di popolazione sopra i 65 anni e dei “grandi” anziani

–       il recente apporto di nuove etnie che non costituiscono ormai più una porzione trascurabile all’interno di una popolazione, problema da lungo tempo presente negli USA e in altri Paesi e ora anche in Italia

–       l’assenza, in Italia ma non solo, di un registro delle fratture

E’ quindi molto complesso ottenere dati certi e validati di prevalenza (numero totale di casi attualmente nella popolazione) e, soprattutto per alcuni aspetti, di incidenza (numero di nuovi casi in un arco di tempo) relativi ai vari sottoinsiemi dell’epidemiologia dell’osteoporosi. Inoltre non sono sempre disponibili, o non sono univoci e definiti, spesso per questioni oggettive, i criteri che assegnano un soggetto ad uno o più dei sottoinsiemi.

Si fa spesso riferimento, nella descrizione epidemiologica italiana, a dati di altri Paesi, prevalentemente ai dati USA e di altri Paesi Europei, nell’ambito di quella distribuzione del profilo etnico  definito “caucasico”. E’ noto peraltro che, per fattori non sempre compresi, vi sono tra i vari Paesi significative differenze di incidenza.

EPIDEMIOLOGIA DELLE FRATTURE

Le fratture statisticamente legate alla fragilità ossea indotta dall’osteoporosi, sia primaria che secondaria, sono soprattutto quelle di femore, vertebra e polso. La frattura di omero viene considerata, anche se non universalmente, come osteoporotica “maggiore” e così le fratture di bacino, coste e sterno.

Frattura di femore.

E’ la frattura più temuta e più impegnativa per il paziente e per il sistema sanitario nazionale. Identificabile e monitorabile, in quanto porta quasi invariabilmente all’ospedalizzazione del soggetto, i dati di incidenza si ricavano dall’esame critico e dettagliato delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO), per distinguere le fratture da fragilità (o con componente da fragilità) da quelle da trauma efficiente (caduta da grande altezza, incidente stradale etc.)

Per l’Italia vi sono dati abbastanza recenti. Anche se con qualche variazione dovuta alle variazioni demografiche sopraddette, è indubbio che vi siano in Italia più di 80.000 fratture all’anno nella popolazione al di sopra dei 65 anni di età, il 78% delle quali nel sesso femminile. Di queste, oltre l’80%  si verificano in donne dai 75 anni in su (3). L’aumento di incidenza non è lineare con il crescere dell’età, bensì, a partire dai 65 anni, raddoppia ogni 5-10 anni. Il dato nazionale fino al 2005 vede una significativa tendenza all’incremento dell’evento (+ 28.5% nel periodo 2000-2005) (4). Tenendo presente che aver subito una frattura di femore è fattore di rischio per una seconda frattura e presupponendo una durata media di vita post-frattura di almeno 5 anni si può calcolare una prevalenza (incidenza annua x durata della malattia) di almeno 400.000 donne.

Diversamente dal dato italiano (ma anche di altri Paesi), è stata segnalata la tendenza ad una diminuzione dell’incidenza di frattura femorale, sia negli USA che in Australia (5,6), per fattori ancora non del tutto analizzati, in parte anche per l’effetto dell’introduzione di terapie efficaci.

Frattura clinica di vertebra.

Solo una parte dei casi viene ospedalizzata per cui non è possibile stabilirne incidenza e prevalenza in base alle SDO. Il riscontro di una frattura vertebrale da fragilità costituisce rischio di ulteriore frattura, in misura nettamente maggiore rispetto ad un dato densitometrico di osteoporosi in un non fratturato, perciò l’identificazione o l’esclusione di queste fratture è molto importante poichè modifica radicalmente il rischio nel singolo soggetto.

I dati in letteratura sono abbastanza variabili, ma si stima che le fratture vertebrali cliniche siano in Italia circa 100.000 all’anno. Data l’insorgenza in età più precoce ripetto alle fratture femorali, presupponendo una durata media di vita di 15 anni, si può arrivare ad una prevalenza di 1.500.000 donne con frattura vertebrale clinica, con le inevitabili conseguenze negative su dolore, meccanica posturale e respiratoria che innescano quel circolo vizioso di ridotto benessere psico-fisico che concorre ad incrementare il rischio di nuove fratture.

Frattura di radio distale.

Nella maggior parte dei casi anche questa frattura viene identificata clinicamente e radiologicamente, comporta una qualche forma di accesso ospedaliero, ha un decorso benigno ma spesso  non viene tenuta nella debita considerazione come fattore di rischio per successive fratture. In una discreta percentuale di casi ne è necessaria la riduzione chirurgica. Anche per questa frattura non sono disponibili dati univoci e aggiornati per l’Italia ma sembra che l’incidenza sia almeno pari a quella delle fratture vertebrali, attorno alle 100.000 all’anno, con una prevalenza probabilmente più ampia.

Fratture di omero prossimale, coste, clavicola, pelvi e altre fratture periferiche.      

Nell’insieme costituiscono un numero consistente di fratture. Con le distinzioni prima ricordate per omero, costa, bacino, sterno è rilievo statistico  che la relazione delle fratture periferiche con il livello di massa ossea non sia significativo, anche se si deve tener presente qualunque tipo di frattura da sospetta fragilità, nell’ambito di una valutazione globale del rischio.

In occasione della giornata mondiale dell’Osteoporosi 2009 è’ stato  presentato dal Ministero della Sanità un progetto di apertura di un Registro Fratture, inizialmente limitato a 6 regioni e che successivamente sarà esteso al resto d’Italia. Sarà lo strumento per avere dati precisi e aggiornati sulle singole fratture e per l’analisi delle modalità di frattura, che consentano di giudicare la componente da fragilità.

EPIDEMIOLOGIA RADIOGRAFICA

Come già ricordato, il numero di fratture vertebrali diagnosticate è verosimilmente meno della metà di quelle esistenti o, in altre parole, la prevalenza è doppia rispetto a quella nota. Il riscontro radiologico di frattura vertebrale pregressa è, non di rado, occasionale. Ciò accade non solo per carenza di lettura della lastra radiografica, ma anche perchè, non esistendo un pattern sintomatologico univoco e paradigmatico, la lastra semplicemente non viene eseguita. La frattura può essere asintomatica o paucisintomatica o dare una sintomatologia che può essere facilmente confusa con quella di altre patologie (artrosica, gastrointestinale, cardiologica etc.).

Nello studio EVOS (1), multicentrico europeo, adottando criteri geometrici di riconoscimento delle deformazioni vertebrali si è visto che una “frattura” era presente nel 12% dei maschi e nel 14% delle femmine tra i 65 e i 70 anni. Queste percentuali salivano rispettivamente al 18 e al 25% nella fascia di età tra 76 e 79 anni. Naturalmente le percentuali possono variare largamente a seconda dei criteri di inclusione.

EPIDEMIOLOGIA DENSITOMETRICA

         L’OMS, nel 1994, in base ai risultati densitometrici ottenuti con metodica DEXA in vari Paesi ha stabilito l’esistenza di tre grandi categorie diagnostiche nei soggetti studiati (7):

normalità :           T score > -1

osteopenia :        T score tra -1 e -2.5

osteoporosi :       T score <= -2.5

Questa classificazione, basata sulla distribuzione statistica del rischio di prima frattura nella popolazione generale, ha portato all’identificazione di “soglie”, anche individuali, all’interno dell’andamento di una variabile continua qual è la densità minerale ossea (BMD).

Un fattore di rischio, seppur di notevole importanza, è stato, non solo nel linguaggio comune, identificato con la “malattia”.

Classificando la popolazione generale in base al dato densitometrico, col crescere dell’età si assiste ad un progressivo ampliarsi del numero di soggetti osteopenici e osteoporotici e ad una progressiva riduzione del gruppo dei normali. Ciò è ovvia conseguenza dell’utilizzo del T score come criterio classificativo poichè esso esprime la distanza del dato del singolo soggetto da quello medio di un gruppo di giovani adulti.

Le casistiche dei vari centri di densitometria sono inevitabilmente influenzate dai criteri di classificazione, dal tipo di strumento utilizzato e dalla tendenza all’accesso di soggetti già classificati o con fattori di rischio per ridotta densità minerale ossea, quindi è difficile disporre di un campione rappresentativo.

Si può comunque ipotizzare con buona approssimazione, che il numero di soggetti con ridotta densità minerale ossea sia attorno ai 4-5 milioni di soggetti in Italia.

EPIDEMIOLOGIA DEI FATTORI DI RISCHIO

         Nel grande serbatoio della popolazione generale, soprattutto tra quelli con ridotta densità minerale ossea, è sforzo comune da parte delle organizzazioni scientifiche cercare di individuare i soggetti a maggior rischio di frattura attraverso l’analisi degli altri elementi che, dipendentemente o indipendentemente dalla densità minerale, contribuiscono ad aumentare il rischio.

Esistono fattori di rischio definiti, come l’artrite reumatoide o l’uso cronico di cortisonici o di farmaci anticonvulsivanti etc. che sono facilmente rilevabili perchè noti al paziente e all’interno del circuito sanitario.

Così dicasi per le numerose cause di osteoporosi secondaria, riportate nei LEA, che hanno ciascuna una propria prevalenza e incidenza e contribuiscono al problema globale dell’osteoporosi.

Altre situazioni metaboliche come l’ipercalciuria, l’elevazione del livello di PTH, l’aumentato turnover osseo, predisponenti ad una riduzione del livello di densità minerale ossea, sono spesso ignorate dal paziente e trascurate dal Medico anche perchè lo studio di questi parametri spesso non fa parte delle richieste di routine. In molti casi queste anomalie vengono rilevate solo casualmente nel singolo individuo, perchè decorrono asintomatiche.

CONCLUSIONI. Seppur non sempre sono disponibili dati epidemiologici validi e coerenti, è certo che:

–       gli stati di ridotta resistenza ossea sono sottodiagnosticati e sottotrattati

–       hanno una forte potenzialità negativa sociale ed economica

–       è necessario estendere la sensibilizzazione degli operatori sanitari e dei pazienti verso il riconoscimento delle situazioni cliniche e dei parametri biologici correlati al rischio di frattura osteoporotica.

BIBLIOGRAFIA

1. O’Neill TW et al. The prevalence of vertebral deformity in European men and women: the European Vertebral Osteoporosis Study.

J Bone Miner Res 1996; 11:1010-7.

2. Johnell O et al. Predictive value of BMD for hip and other

fractures. J Bone Miner Res 2005 ; 20:1185-94

3. Rossini M et al Incidenza e costi delle fratture di femore in Italia Reumatismo, 2005; 57(2):97-102

4. Piscitelli P et al   Hip fractures in Italy: 2000-2005 extension study.

Osteoporos Int. 2009 Oct 7.

5. Gelbach SH et al. Trends in hospital care for hip fractures.

Osteoporos Int (2007) 18:585-591

6. Fisher AA et al.  Trends in hip fracture epidemiology in Australia: Possible impact of bisphosphonates and hormone replacement therapy  

Bone 2009;45:246-53

7. WHO Technical Report Series  1994  Geneva

A cura di

Dott. Adriano Bonazza       U.O. Medicina Nucleare ULSS 12 veneziana (Dir. Dott. M. Sicolo)

                                                Servizio di medicina nucleare e diagnostica densitometrica

                                                Ambulatorio osteoporosi O.C. SS Giovanni Paolo (VENEZIA)

                                                Ambulatorio integrato metabolismo minerale (Mestre)

Dott. Roberto Mameli         U.O. Medicina Nucleare ULSS 12 veneziana (Dir. Dott. M. Sicolo)

                                                Servizio di medicina nucleare e diagnostica densitometrica

                                                Ambulatorio osteoporosi O.C. SS Giovanni Paolo (VENEZIA)

                                                Ambulatorio integrato metabolismo minerale (Mestre)           

Dott. Paolo Morachiello     U.O. Di Nefrologia e Dialisi ULSS 12 veneziana (Dir. Dott. M. Feriani)

                                                Ambulatorio metabolismo minerale O. dell’Angelo (Mestre)

                                                Ambulatorio integrato metabolismo minerale (Mestre)