La clinica delle fratture

L’osteoporosi è una osteopatia da fragilità, ossia caratterizzata da riduzione della resistenza ossea, ed i quadri clinici sono riconducibili alle fratture.
La frattura di un segmento scheletrico si verifica quando la forza applicata supera la resistenza, ossia quando il rapporto F/R > 1 dove F è il carico applicato ed R la resistenza dell’osso.

Se la frattura si verifica in un osso con normale resistenza essa è detta traumatica mentre se avviene in un osso con resistenza ridotta si definisce patologica.
Le fratture da fragilità, pur potendosi verificare in qualsiasi segmento scheletrico, sono più frequenti a carico delle ossa in la componete trabecolare è maggiore e sono:

a) vertebre (VCFs = Vertebral Compression Fractures) b) collo femore
c) polso
d) collo omero

c) coste
L’osso spongioso, infatti, ha un maggior turnover rispetto all’osso corticale per cui, dopo i 40 anni, per il prevalere del riassorbimento sull’osteoformazione, si assiste ad una riduzione progressiva della resistenza, per assottigliamento e perforazione delle trabecole, e ad una maggior incidenza di fratture.
Nel 2000 le fratture da fragilità sono state nel mondo circa 9 milioni di cui 1.600.000 le fratture femorali, 1.700.000 fratture di polso, 1.400.000 le fratture vertebrali e 700.000 le fratture omerali. L’Europa detiene il primato con il 34,8% del totale.
La sintomatologia delle fratture da fragilità e la stessa di quelle traumatiche e dipende dalla sede e dalla gravità (entità e scomposizione dei frammenti). Sintomi comuni sono il dolore, l’impotenza funzionale e, per le fratture delle ossa appendicolari, la tumefazione e la deformità. L’osteoporosi è stata definita “la ladra silenziosa” perché, in assenza di fratture, decorre del tutto asintomatica mentre la densità ossea si riduce progressivamente fino a valori estremamente bassi.

Clinica delle fratture da fragilità vertebrali

La paziente con fratture vertebrali da fragilità presenta

  • progressivo calo staturale
  • sproporzione del rapporto lunghezza arti e tronco
  • aumento della cifosi dorsale (gobba delle vedove)
  • inversione della lordosi lombare
  • prominenza dei processi spinosi in corrispondenza delle vertebre fratturate
  • ultime coste a contatto con le creste iliache
  • prominenza dell’addomeIl rachide dorso-lombare è l’unica sede in cui il dolore può non associarsi, almeno
    in una fase iniziale; a fratture radiograficamente rilevabili; in tutte le altre sedi il dolore è sempre associato a frattura.
    Le sollecitazioni meccaniche, che sono in grado di provocare sul rachide dorso-lombare fratture vertebrali da fragilità, sono soprattutto di compressione, forza costante e uniforme su tutta la sezione delle vertebre, e di flessione, forza variabile perché condizionata dall’entità della curva cifotica e dovuta al momento flettente.

Le fratture da fragilità vertebrali possono instaurarsi lentamente nel corso di anni e decorrere in modo silente o paucisintomatico (fratture vertebrali morfometriche), oppure manifestarsi all’improvviso (fratture vertebrali cliniche), il più delle volte in seguito ad uno sforzo modesto come il sollevare la sporta della spesa, con dolore violento, localizzato al dorso o alla regione lombare, in corrispondenza delle vertebra fratturata, tendente ad irradiarsi anteriormente a barra. Nelle fratture vertebrali da fragilità il dolore è di tipo meccanico, ossia si accentua in ortostasi per il carico e si riduce in clinostasi. Queste caratteristiche del dolore sono legate al continuo ripetersi di microfratture trabecolari per poi arrivare a causare la macrofrattura del soma vertebrale.

Nel caso di fratture vertebrali cliniche il dolore osseo, a seconda della severità e del numero di fratture, può persistere per diverse settimane e poi lentamente ridursi. In molti casi, però, residua una dolenzia diffusa per coinvolgimento della muscolatura del dorso. Le fratture vertebrali, infatti, causano ipercifosi nel tratto dorsale e invertono la lordosi in quello lombare generando notevoli squilibri posturali responsabili di contratture muscolari dolorose che persistono per molto tempo, e talvolta per sempre, dall’evento fratturativo (rachialgia cronica).

Quando l’ipercifosi dorsale è grave e si associa ad inversione della lordosi lombare può essere presente dolore ai fianchi che si irradia anteriormente per contatto delle ultime
coste con le creste iliache e deformità della gabbia toracica con compromissione
della dinamica respiratoria.

E’ importante, dal punto di vista clinico, saper valutare radiologicamente la severità ed il numero di vertebre fratturate per cogliere segni di progressione del quadro fratturativo, in considerazione del trattamento farmacologico per i “non responder” e chirurgico di riduzione e/o stabilizzazione intrasomatica mini- invasiva per le fratture vertebrali maggiormente implicate nell’effetto domino. Perché una vertebra si possa considerare fratturata, soprattutto nel tratto dorsale medio dove le vertebre sono fisiologicamente conformate a cuneo, deve avere un grado di deformità ≥ del 20%.

Il grado di deformità vertebrale viene calcolato percentuale misurando le singole altezze (anteriore, media e posteriore) del corpo ed applicando la formula
│hp – ha(m)│/ hp * 100
dove

hp = altezza posteriore
ha(m) = altezza anteriore o media
In caso di riduzione dell’altezza posteriore per interessamento fratturativo del muro posteriore, per il calcolo si fa riferimento all’altezza posteriore del corpo vertebrale normale più vicino.
Secondo Genant una deformità vertebrale si
considera:

  1. lieve se ≤ 25%
  2. moderata se ≥ 25% ≤ 40%
  3. severa se ≥ 40%

Le fratture da fragilità vertebrali presentano caratteristiche deformità che sono:

– a cuneo trapezoidale anteriore per cedimento somatico del muro anteriore frequente nel rachide dorsale;

– avvallamento per cedimento centrale di una delle limitanti somatiche

– a lente biconcava per cedimento centrale di entrambe le limitanti somatiche, superiore e inferiore, frequenti nel tratto lombare;

– schiacciamento o crollo per cedimento di entrambi i muri anteriore e posteriore, frequente nel tratto dorsale basso e lombare alto.

Le vertebre che più spesso si fratturano sono le ultime dorsali e le prime lombari, in quanto sede di maggior sollecitazione flessoria e da sole costituiscono circa il 60% di tutte le fratture vertebrali. Talvolta, in caso di osteoporosi severa con fratture vertebrali multiple, non sempre è facile stabilire con certezza le nuove fratture, soprattutto se coinvolgono vertebre già fratturate in precedenza. Un aiuto indispensabile per la diagnosi viene fornito dall’indagine RM in grado di identificare le fratture recenti attraverso l’alterazione del segnale per edema dell’osso trabecolare.

La terapia delle VCFs in acuto può essere di tipo conservativo (riposo, antalgici, busto), o di tipo chirurgico mini-invasivo (vertebro-cifoplastica) per le fratture vertebrali critiche (T7, T8, D12, L1), in cui si ritiene che il ripristino delle altezze e la stabilizzazione possano contribuire a ridurre l’effetto domino riducendo il momento flessorio, o per le quelle non critiche ma che persistono dolorose a distanza di tempo (2 – 3 mesi dall’evento fratturativo) ed infine di tipo chirurgico a cielo aperto per le fratture vertebrali instabili o in presenza di deficit neurologico.

Clinica delle fratture da fragilità di collo femore

La patogenesi della frattura da fragilità di collo femore riconosce fondamentalmente due cause:

  1. la ridotta resistenza ossea per assottigliamento e perforazione del tessuto trabecolare e perriassorbimento progressivo dei fasci di rinforzo (cefalico, arciforme e trocanterico).
  2. il trauma a bassa energia, in cui la forza d’impatto interessa il gran trocantere, più frequentemente rappresentato dalla caduta all’indietro o di lato di soggetti anziani che simuovono poco e che hanno un’andatura lenta.

In presenza di grave fragilità ossea è possibile che, per effetto di forze torsionali o flessorie sul collo del femore, la caduta possa essere successiva alla frattura.
Le fratture di collo femore vengono classificate in mediali o intracapsulari (sottocapitate, transcervicali) e laterali o extracapsulari (basicervicali, pertrocanteriche, sottotrocanteriche) queste ultime estremamente frequenti nella popolazione anziana.